Kintsugi: l’arte di riparare (e ripararsi) con l’oro

Con l’arte giapponese Kintsugi riparare un oggetto rotto significa valorizzare le crepe riempiendo le spaccature con dell’oro, donandogli un aspetto nuovo attraverso le preziose cicatrici. Ogni pezzo riparato di conseguenza è unico proprio grazie alle sue “ferite” e alle irregolarità delle decorazioni che si formano.

Credo che il Kintsugi possa essere una bella metafora anche in psicoterapia; quando ci troviamo a fare i conti con le nostre crepe, abbiamo la possibilitá di ricomporci nuovamente, arricchendoci, per diventare ancora più preziosi, più forti di prima e con risorse che fino ad ora, forse, non avevamo visibili.. ed è così che ci concediamo di divenire preziose opere d’arte.. splendidi esempi di umanità e ricchezza.

Ho realizzato questo video (clic sull’immagine) durante un laboratorio di kintsugi a cui ho partecipato con l’amica e maestra Chiara Lorenzetti, con la quale ho potuto fare un’esperienza di rottura e ri-composizione della mia personale ceramica..
condivido con piacere e un pó di commozione..

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Mi affascina molto la filosofia zen, credo che porti con sé molte metafore e applicazioni alla vita. L’arte del Kintsugi, in particolare, non è solo tecnica, bensì un messaggio profondo, che arriva sulla pelle, scende al cuore e si radica nella mente.

L’imperfezione di una crepa o di una ferita, diventa un luogo privilegiato da cui può nascere una forma ancora maggiore di perfezione estetica e interiore.

Quanta fatica facciamo talvolta nell’accettare, nel divenire consapevoli e nel fare pace con le nostre crepe, tanto del corpo quanto dell’anima. Le ferite vengono spesso percepite come fragilità, imperfezioni, additate e colpevolizzate, poiché si pensa in termini di dualità : o è intatto o è rotto. Se è rotto va buttato, o perlomeno allontanato dalla vista.
La cultura orientale è più propensa ad accettare le dicotomie senza rifiutarle e si direziona nella compresenza degli opposti, ad una nuova ed unica gestalt, nella quale gli opposti smettono di essere tali e fluiscono armoniosamente nella vita.

La vita stessa porta insieme integrità e rottura, ri-composizione e costante mutamento.

Il dolore e la sofferenza sono parte della vita; farne esperienza in modo consapevole, innanzitutto, ci permette di dire di essere vivi. Probabilmente elaborare, simbolizzare, dare un significato a questa sofferenza, lascia cambiati, forse più forti, più saggi, in ogni caso segnati.
Così si scopre che dall’imperfezione di una crepa nasce una forma nuova, unica, che mette in risalto la vista di quelle irripetibili e specifiche trame dorate che appartengono gelosamente all’oggetto in questione.. che raccontano una storia. La nostra!

Credo fortemente che offrire a noi stessi la possibilità compassionevole di vedere ed accettare le nostre personali ferite, rappresenta quella spinta motivazionale che ci permette di continuare ad occuparci di noi stessi e dell’altro aggiungendo un ulteriore orizzonte di senso e di scopo alla nostra esistenza.

Buon restauro a tutti noi ..